Flaminio Gualdoni

Web Name: Flaminio Gualdoni

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Carla Accardi / Antonio Sanfilippo. L’avventura del segno, Convento del Carmine, Marsala, sino al 10 gennaio 2021Nell’aprile del 1947 esce a Roma il primo e unico numero di “Forma”, rivista che raggruppa Giulio Turcato, Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Concetto Maugeri, Achille Perilli e Antonio Sanfilippo. Il manifesto programmatico, datato 15 marzo, che introduce il numero, si apre con la dichiarazione di essere “formalisti e marxisti”: il che, nel clima di quel tempo, suonava assai meno implausibile di oggi.Carla Accardi, Rosso su bianco, 1956Accardi e Sanfilippo due anni dopo, nel 1949, si sposano: la coppia si scioglierà nel 1964. Sanfilippo morirà prematuramente nel 1980, Accardi nel 2014. Lungo, dunque, il percorso comune, che s’inoltra ben oltre i termini burocratici. Entrambi peintres à signes, lavorano a un fare in cui, scrive Sanfilippo, “La forma prestabilita come figura, personaggio, animale, scompare, e il valore del quadro è dato da una superficie il più possibile monotona e ripetuta, a cui si sovrappongono segni vivaci, forti, di grande qualità”.Nel tempo i lavori di Accardi si organizzano secondo modi più apertamente strutturanti, aprendosi all’esperienza di tarsie e oltranze cromatiche fastose, mentre Sanfilippo concentra il segno e lo tratta infine come una calligrafia pulviscolare, atmosferica, per taluni aspetti introversa e ricca d’implicazioni poetiche.Antonio Sanfilippo, Senza titolo, 1953Resta, per entrambi, indiscutibile la scelta di un territorio autonomamente espressivo del segno, del colore, della forma, totalmente calato ancora nell’idea di pittorico. La loro scelta di un’immagine non referenziale, pur non teoricistica, non è mai messa in discussione, e garantisce corsi operativi fruttuosi, in entrambi i casi qualitativamente importanti: scriverà Accardi: “Trasformare l’emotivo in intellettuale e l’intellettuale in emotivo”. Per Alfonso Leoni, in Alfonso Leoni genio ribelle 1941-1980, a cura di C. Casali, catalogo MIC, Faenza, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2020Alfonso Leoni è stato, prima di tutto, una coscienza, conficcata lucidamente in uno degli snodi più ispidi della cultura artistica dei decenni ultimi.Alfonso Leoni, Carro armato, 1972-1973Terra fare forma disciplina materia cosa: arte. Serve, e se sì a cosa serve, dirsi ceramista? Se sei nato a Faenza, è questione ineludibile, e chiede un processo di de-definition che non sia solo enunciare, nella sfera delle negazioni radicali che sono state dei Sessanta e Settanta, il montaliano “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, ma molto più. È porre al centro della propria identità fabrile misure diverse e per certi versi ultimative: la remise en question dell’oggetto e della decorazione ceramica scarnificandone i retaggi storici; la dispersione d’amore delle Vetrine che distanziano, ma distanziando delucidano, cose e immagini che scrivono un vivere e un morire; il fare abile della mano fatto risalire sino al punto in cui lo spettatore stesso si ritrova nell’atto sorgivo e supremo di sentirsi e sapersi toccare l’argilla, riattivando lo scambio corporeo primario con la materia.Per dire ancora con Montale, magari Leoni offre, anziché teorie, solo “qualche storta sillaba e secca come un ramo” – questo solo vuol fare – ma sono proprio queste sillabe storte che aprono mondi possibili e impensati. Esse improvvisamente, in quel memorabile Premio Faenza del 1976 e, più, nella personale d’inizio 1978 al San Fedele di Milano, sommuovono, per chi voglia vedere, un ambito d’arte più vasto, dialogando di fatto con un’area ampia e a sua volta radiante d’esperienze: Nikolaus Lang, Charles Simonds, su tutti Claudio Costa, secondo cui “l’oggetto antico, isola di sapere antropologico, riva dell’infinito fiume del tempo, rimanda a un’interiorità profonda, alla pre-natalità soggettiva e, carico di uno strato di vissuto, di una pellicola di sudore, ci riporta all’ancestrale”.Alfonso Leoni, Performance al MIC, Faenza 1976Certo, dal punto di vista delle cronache il fatto che a Faenza venga presentato un “ready-made assisted” di aroma duchampiano è ciò che fa immediata sensazione, ma a uno sguardo meno puntato sull’epicentro critico del fare ceramica esso offre una inedita posizione dialogante alla pari – e finalmente, cosa rarissima, in perfetta sincronia problematica – con le pratiche dell’avanguardia artistica tutta: alla faccia dell’“arte minore” è, qui, il caso di dire.Non poteva non avvedersene, più d’altri, un autore strepitoso come Nanni Valentini il quale, sia consentito un ricordo personale, mi condusse praticamente a forza a visitare la mostra milanese di Leoni e m’ingaggiò in uno dei nostri infiniti conversari intorno a materia, memoria, identità, fare: per Nanni, Leoni era la dimostrazione che aveva preso a esistere, infine, un modo altro di pensare la terra. Aldo Spinelli. Vero dalla copia, Galleria Monopoli, Milano, sino al 5 novembre 2020Esponente raro del versante ludico del concettuale, di cui frequenta lo snodo dei codici – verbali prima di tutto – con una predilezione particolare per le condizioni – regole, altri codici, manie – del gioco e per le sue implicazioni patafisiche, al punto che la sua realizzazione più lucida è una sorta di catalogue (non) raisonné, ma certo raisonnant, delle sue opere in forma di album di figurine collezionabili, Spinelli torna con un esperienza ulteriore.Spinelli, Mostra alla galleria Monopoli, Milano 2020Materia comune è la proliferazione dei coriandoli, presenze esistenzialmente infime – sono di transeunte carta colorata, nessuno si sognerebbe di collezionarli o di farne opere – nate da un deliberato e gratuito dispendio di tempo e di fabrilità: sono migliaia, ma tutti sono stati realizzati a mano, senza che ciò aggiunga valore dichiarato e sperato.In un caso danno vita a una coppia di realizzazioni in tutto identiche come se le tele fossero specchianti, dunque con due immagini che sono l’una in controparte dell’altra, dove nessuna delle due è la copia dell’altra. In un altro sono il ritratto della sua esistenza sintetizzato in un numero di coriandoli pari ai giorni trascorsi in vita dall’autore, come in un’autobiografia dissipata.Spinelli, Mostra alla galleria Monopoli, Milano 2020Spinelli fa entrare in gioco (!) implicazioni non banali, forma e funzione, caso e necessità, progetto e destino, con la sua aria da coboldo sardonico, curioso, e assai più feroce di quanto sembri. Nel clima feticistico che ci attanaglia, piace pensare al cortocircuito per cui questi lavori nullificano la propria presenza fisica dichiarando la propria ragion d’essere nell’assenza dichiarata di valore, abilità, unicità, eccetera. Alexej Jawlensky e Marianne Werefkin. Compagni di vita, Museo comunale d’arte moderna, Ascona, sino al 10 gennaio 2021Le grandezze dell’arte e le miserie della vita ordinaria s’incrociano nella vicenda che lega Jawlensky, compagno di strada meno dotato di Kandinsky, e Werefkin. [continua] Franco Fanelli. Nature fossili, Aleandri Arte Moderna, Roma, sino al 3 ottobre 2020Virtuoso dell’incisione mai in cerca di applausi, Fanelli concentra ora la misura della sua ossessione argutamente dolce sull’imagerie tra geologica e archeologica scavandone immagini di asciutta ma sovrana ambiguità: come nature morte, ma in una misura di tempo e di spazio diversi, smisurati. [continua] Tomas Rajlich. Opere 1972-2018, catalogo, 61° Premio Internazionale Bice Bugatti Giovanni Segantini, Villa Brivio, Nova Milanese, 12 settembre – 25 ottobre 2020Dalla fine del decennio sessanta Tomas Rajlich diviene una delle figure di riferimento della vicenda pittorica che, variamente codificata e variamente analizzata, sembra attuare una sorta di interrogazione ultimativa al processo e al linguaggio, [continua] Odiatori di Renoir, in “Il Giornale dell’Arte”, 409, Torino, luglio-agosto 2020Forse nel 2015 la cosa era nata come una bravata culturalmente scorretta, che in quanto tale si fece strada rapidamente e brevemente nel mondo fluttuante del web. Un tizio, Max Geller, aveva dato vita a manifestazioni di protesta di fronte al museo di Boston chiedendo che si rimuovessero i quadri di Renoir, [continua] Italia: una generazione, Auditorium San Pancrazio, Tarquinia, 22 agosto – 27 settembre 2020Come mutano le prospettive, gli approcci: i pensieri. Alcuni vengono, se ne vanno, poi tornano. Tre passaggi, più uno. [continua] Angelica Kauffmann. Artist, Superwoman, Influencer, Kunstpalast, Düsseldorf, sino al 29 settembre 2020Che fosse una Superwoman è indubbio, e ciò ha contribuito non poco al consolidarsi della sua leggenda, lei ancora vivente, in termini di universalità del consenso: un po’ come toccava, negli stessi anni, al solo Canova. [continua] Joan Jonas. Moving Off the Land II, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid, sino al 13 settembre 2020Di Joan Jonas, figura grandissima delle pratiche che un tempo si dicevano intermedia, è memorabile l’azione che realizzò quasi vent’anni fa a Documenta 11, Lines in the Sand: [continua] Collection of engravings from ancient vases mostly of pure Greek workmanship discovered in sepulchres in the kingdom of the Two Sicilies but chiefly in the neighbourhood of Naples during the course of the years MDCCLXXXIX. and MDCCLXXXX. [continua] Adriaen van Ostade: The Simple Life, Kunstmuseum Winterthur, sino all’8 novembre 2020Nativo di Haarlem, di poco più giovane di Rembrandt, allievo di Frans Hals, quando debutta, nel 1632, decide di presidiare l’area iconograficamente più collaudata della muova arte olandese, [continua]

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