I migliori libri selezionati per te - La Rivista dei Libri

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Selezioniamo per voi solo i migliori libri

La Rivista dei Libri si ripropone di  recensire e classificare i migliori libri e le migliori pubblicazioni presenti in libreria e in vendita online. I bestseller e i migliori testi sono scelti e catalogati non solo tenendo conto del nostro punto di vista ma anche a seconda delle opinioni e delle recensioni dei lettori.

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John Banville: Una voce luminosa accende il buio

In un grande saggio dal titolo Esperienza, Ralph Waldo Emerson scrive alcune cose forti,
e ormai famose, sul delicato argomento del dolore. Nel gennaio del 1842 Emerson e la moglie Lidian
avevano perso l’amatissimo figlio Waldo, morto di scarlattina a cinque anni. La mattina
dopo il decesso, Emerson scrisse a vari amici esprimendo cosí la propria pena: «Il mio
maschietto se n’è andato … Quel bambino meraviglioso … mi è sfuggito
dalle braccia come un sogno. Mi adornava il mondo come una stella del mattino … La sua bellezza
meravigliosa non è bastata a salvarlo … In vita mia non potrò mai più soffrire
un’altra perdita del genere … Avrò mai il coraggio di amare di nuovo una creatura?».

Non molto tempo dopo, tuttavia, in Esperienza, Emerson scriveva in tutt’altra
vena: «Con la morte del figlio, poco più di due anni fa, mi sembrò di aver perduto
un meraviglioso bene, non di più. Se domani fossi informato del fallimento dei miei principali
debitori, la perdita dei beni di mia proprietà rappresenterebbe, certo, un danno molto
grave per me, probabilmente per molti anni; ma mi lascerebbe pur sempre cosí come mi ha trovato,
né migliore né peggiore. Lo stesso è accaduto con questa calamità; non
riesce a toccarmi: qualcosa che io pensavo fosse una parte di me, che mai avrebbe potuto essermi
strappata senza lacerare anche me stesso, né essermi data senza arricchire anche me stesso,
si è separata da me, e non lascia cicatrice. Caducità».

Freeman Dyson: Il genio silenzioso dei quanti

Perché chi non è un fisico dovrebbe interessarsi a Paul Dirac? Dirac è interessante
per le stesse ragioni per cui è interessante Einstein. Entrambi sono autori di scoperte significative
che hanno cambiato il nostro modo di pensare. Ed entrambi erano esseri umani eccezionali di ferme
convinzioni e con forti passioni. Oltre a queste importanti somiglianze, molti dettagli delle
loro vite risultano curiosamente simili. Tutt’e due vinsero il Premio Nobel per la fisica,
Einstein nel 1921 e Dirac nel 1933. Tutt’e due ebbero due figli e due figliastri nati dal precedente
matrimonio della moglie. Tutt’e due da giovani ebbero un ruolo attivo nella comunità
degli scienziati in Europa. Tutt’e due emigrarono negli Stati Uniti e in vecchiaia vissero
isolati dalla comunità scientifica americana. La differenza principale tra i due risiede
nel fatto che Einstein diventò una delle persone più famose al mondo, mentre Dirac rimase
sconosciuto.

Jason Epstein: Il futuro dei libri

Il passaggio all’interno dell’editoria libraria dall’inventario fisico,
conservato in un magazzino e spedito ai dettaglianti con dei camion, ai file digitali depositati
nel ciberspazio, e consegnati in qualsiasi luogo della terra rapidamente e a buon mercato come
un’e-mail, è ora in corso ed è irreversibile. Tale mutamento storico trasformerà
radicalmente l’editoria libraria del mondo intero, le culture su cui essa incide e da cui
dipende. Nel frattempo, per ragioni affatto differenti, la raffinata editoria libraria per la
quale io cominciai a lavorare oltre mezzo secolo fa è già nervosissima, poiché,
come un giocatore incallito, soffre di un’invincibile propensione per i rischiosi bestseller
stagionali (molti dei quali non recupereranno i loro costi) e del contemporaneo deterioramento
del catalogo, quell’essenziale rendita annua su cui, in tempi migliori, gli editori di libri
avevano contato per far quadrare i bilanci, negli anni buoni come in quelli cattivi. Questa crisi
di fiducia si rispecchia in certi traumi incrociati, quali un mercato troppo specializzato e dominato
da prodotti effimeri ad alto rischio e un cambiamento tecnologico superiore, per ordine di grandezza,
alla fondamentale evoluzione dagli scriptoria dei monasteri ai caratteri mobili inventati
da Gutenberg, nella città tedesca di Magonza, sei secoli fa.

Orlando Figes: Ascesa di un gangster

Stalin», ricordava il menscevico Nikolaj Suchanov nelle sue memorie della rivoluzione
russa del 1917, «mi ha fatto l’impressione … di una macchia grigia che tremolava
oscuramente in lontananza senza lasciare traccia. Non si può dire davvero nient’altro
su di lui».1 Grazie agli scritti dei suoi nemici di tempra più intellettuale,
che influenzarono profondamente la storiografia occidentale dei primi anni del regime sovietico,
abbiamo finito per vedere nel giovane Stalin un individuo mediocre, fedele seguace di Lenin, emerso
dagli anfratti più bui del suo partito fino a ghermire il potere.

A contribuire più di ogni altro a questo ritratto fu Leon Trockij, acerrimo nemico di Stalin,
la cui Storia della Rivoluzione Russa, scritta in esilio fra il 1929 e il 1932, catturò
l’attenzione dei lettori occidentali per la sua prosa brillante. Trockij, che si considerava
l’erede naturale di Lenin, ritrasse il suo nemico giurato alla stregua di una nullità
proiettatasi al potere attraverso un’abile manipolazione degli elementi proletari del
partito che rappresentava.

Alessandro Fo: La clessidra di sangue

Durante i molti anni di una vita trascorsa ad ascoltare con amore e finezza i poeti, soprattutto
latini (e neolatini), Alfonso Traina, uno dei nostri più prestigiosi antichisti, ha via
via coltivato, in umbratile e defilata modestia, una personale poesia, che è fiorita in due
serie di testi – una nella sua lingua madre, e una nella madre della madre: il latino –,
affidate sporadicamente a plaquettes a limitatissima tiratura, destinate a una piccola
rosa di amici. Di recente, proprio gli amici, e in particolare un altro insigne latinista come Giorgio
Bernardi Perini, hanno convinto Traina a raccogliere questi frammenti dispersi, e lo hanno persuaso
a pubblicare dapprima un’antologia d’autore dei versi italiani (Versi del mattino
e della sera
, 2008: = V), e quindi, ora fresca di stampa, la sua gemella sul fronte latino
(senza traduzioni di sussidio, se non per una breve sezione iniziale: Pura sub nocte, 2010:
= P).

Max Hastings: Trarre l’insegnamento sbagliato

Le comunità promuovono lo studio del passato in quanto elemento dell’identità
nazionale. Gli Stati Uniti lo fanno attraverso il National Historic Preservation Act del 1966.
L’ordine esecutivo del 2003, “Preserve America”, del presidente George W. Bush
ha stabilito che «il governo federale riconosce e amministra i patrimoni storici in suo possesso
come risorse che possono sostenere le missioni di dipartimenti e agenzie e al contempo contribuire
alla vitalità e al benessere economico delle comunità della nazione, e promuovere
una maggiore comprensione per l’evoluzione degli Stati Uniti e dei loro valori di base».

La parte più semplice di questo è aver cura – a esempio – dei campi di battaglia
della guerra civile americana. Ogni visitatore straniero conviene che Gettysburg sia un sito
storico d’importanza mondiale, al contrario di Waterloo in Belgio e dei luoghi delle guerre
boere in Sudafrica, che si trovano in uno stato trascurato, principalmente perché i discendenti
dei principali combattenti risiedono altrove. I britannici tutelano amorevolmente i loro castelli.
Sono passati un numero sufficiente di secoli da quando le pietre sono state posate per smorzare
la suscettibilità riguardo ai tetri scopi per cui gran parte di esse fu collocata.

Nicholas D. Kristof: Isaiah Berlin, l’esploratore

Sir Isaiah Berlin non è di certo uno scrittore difficile, oscuro o astruso. Al contrario
è eccezionalmente utile per aiutarci a risolvere i complessi quesiti di stampo morale che
destano perplessità in chiunque sia troppo ragionevole per essere un ideologo. Nessuno
può battere Berlin nel ruolo di guida sull’insidioso terreno che dovremo percorrere
nel XXI secolo.

È stata una figura inusuale, tra i grandi filosofi, perché negava di far parte di
questa categoria. All’inizio della sua carriera ebbe un colloquio, destinato a cambiargli
la vita, con Henry Maurice Sheffer, il grande logico di Harvard, il quale sosteneva che i filosofi
continuano a discutere delle stesse idee da migliaia di anni senza di fatto aggiungere molto di
più alla massa delle conoscenze umane. Questa affermazione appariva giusta a Berlin. Proprio
tale mancanza di un possibile progredire lo aveva portato, come disse a me e ad altri (con un tono
quasi lugubre, in cui forse si sentiva il rimpianto), ad abbandonare la filosofia per occuparsi
della storia delle idee.

Come storico e critico Berlin è stato magistrale. Oggi è ben noto per il suo brillante
saggio Il riccio e la volpe, in cui illustra le profonde contraddizioni del genio di Tolstoj
e anche per vari testi con i quali ha dato nuova vitalità a molti altri grandi pensatori,
da Machiavelli ad Alexander Herzen. In particolare a Berlin piaceva esplorare il lato oscuro di
questo campo, ovvero i lavori dei filosofi che hanno contestato l’Illuminismo e, in qualche
caso, hanno gettato le fondamenta per gli slanci totalitaristi del mondo moderno.

Tim Parks: Nel marsupio del canguro

In una calda sera d’estate del 1999, nella città di Reggio Emilia, lo scrittore
inglese Geoff Dyer dichiarò davanti a un folto pubblico di preferire di gran lunga l’Italia
all’Inghilterra: gli italiani, disse, sono esuberanti, liberi, cordiali e amano la vita,
mentre gli inglesi sono noiosi, conformisti, scontrosi, mesti. A suo parere, tuttavia, l’invenzione
dei rave parties e la scoperta dell’Ecstasy lasciavano scorgere un barlume di speranza
e suggerivano la possibilità che molti inglesi si stessero aprendo e stessero imparando
ad amare la vita – diventando più simili agli italiani. I presenti applaudirono.

Seduto accanto a Dyer sul palco, io stupidamente lo contestai. Avendo trascorso tutta la mia
vita da adulto in Italia, sapevo che questo paese è soffocato dal conformismo cattolico;
inoltre, la vocazione inglese alla bisboccia non era certo nuova: già agli inizi del XIX
secolo, a mezzanotte di un qualsiasi sabato, quasi la metà degli abitanti di Manchester
versava in uno stato di ebbrezza. Esistono degli studi che lo confermano.

Charles Petersen: Nel mondo di Facebook

Facebook, il più popolare sito di social networking del mondo, è stato creato
nella stanza di un dormitorio di Harvard nell’inverno del 2004. Come Microsoft, l’altra
famosa società informatica creata da un ex studente di Harvard che aveva abbandonato gli
studi, Facebook non era molto originale. Venticinque anni prima, Bill Gates, al quale l’IBM
aveva chiesto di fornire i programmi base per il suo nuovo personal computer, aveva semplicemente
comprato un programma da un’altra società e gli aveva cambiato nome. Mark Zuckerberg,
il principale fondatore di Facebook, che lasciò il college sei mesi dopo aver creato il sito,
copiò l’idea di fondo da social networks esistenti come Friendster e MySpace.
Ma mentre Microsoft poteva nascere anche al MIT o al California Institute of Technology, non è
un caso che Facebook venga da Harvard.

Willibald Sauerländer: I volti diversi dell’Illuminismo

Le idee dei filosofi, la raffinatezza della lingua e la sontuosità della moda francese
hanno permeato gran parte del XVIII secolo. I dipinti francesi dell’età dell’Illuminismo
risplendono sulle pareti dei grandi musei del mondo, da San Pietroburgo a New York. Che cosa sarebbe
la Collezione Wallace senza Watteau o il Frick senza Fragonard?

E la scultura francese ha contribuito a definire quell’epoca in modo altrettanto significativo.
Ne esistono esempi famosi in tutto il mondo: la statua di George Washington di Jean-Antoine Houdon,
a Richmond, per dirne uno, o il monumento equestre a Pietro il Grande di Étienne-Maurice
Falconet, situato sulle rive della Neva. Ma la piena ricchezza della scultura francese del XVIII
secolo – vivace quanto eccelsa – è poco apprezzata al di fuori della Francia stessa.

Un motivo in più, questo, per apprezzare la decisione della Liebieghaus di Francoforte,
in collaborazione con il Musée Fabre di Montpellier, di mettere insieme una sfavillante
selezione di sculture francesi che vanno dall’epoca di Voltaire al Primo Impero.

Madison Smart Bell: Sangue al confine

Nei ventidue anni trascorsi dall’uscita del suo primo romanzo, William T. Vollmann ha
pubblicato una quantità impressionante di ottimi lavori, a tal punto che per una mente
sola ormai è un’impresa padroneggiare la sua produzione intera. Lo stesso problema
si pone in miniatura con l’ultima fatica di Vollmann, Imperial – about the region
that includes not only Imperial County in southern California but the Mexican side of the border
as well
(letteralmente, “Imperial, della regione che comprende non solo la
contea Imperial nella California del sud ma anche il lato messicano del confine”). Benché
possa sembrare assurdo definire “miniatura” un testo di 1.125 pagine (1.306 se si contano
la bibliografia, le note alle cartine geografiche e alle fonti, ecc.), in confronto al suo studio
sulla violenza intitolato Come un’onda che sale e che scende (nell’edizione
originale, 3.352 pagine suddivise in sette volumi), questo libro è piuttosto piccolo, ma
nello stesso tempo abbastanza lungo da consentire al lettore di dimenticare gran parte dell’inizio
già prima di aver raggiunto la periferia della parte centrale. È un tipo di documento
al quale sarebbe stato utile aggiungere un repertorio di concordanze.

Imperial nasce in parte grazie al materiale raccolto per un romanzo sull’«entità
che definisco Imperial», che Vollmann progettava di scrivere da tempo.

1. R. Conquest, Stalin. Il terrore, la rivoluzione, la guerra, Milano, Mondadori, 2003
(ed. orig. 1991), p. 75.

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