Piovono rane - Blog - LEspresso

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Ieri l'Unione europea ha tolto le isole Cayman e ha aggiunto Barbados alla sua lista nera dei paradisi fiscali: una robetta da 6-700 miliardi di euro rubati ogni anno in tutto il mondo, una ventina abbondante dei quali all'Italia, insomma ci faremmo un bel po' di ospedali, scuole e welfare in generale.Fa tuttavia un po' ridere, con rispetto, che la Ue dia pagelle avendo dentro di sé paesi che poco hanno da invidiare alle isolette caraibiche: a partire da quel Lussemburgo il cui Elusore in Capo (come provò l'inchiesta LuxLeaks) qualche anno fu premiato con la presidenza della Commissione, giusto per far capire quanto seria sia stata in passato la lotta europea alle multinazionali che si intascano soldi dei cittadini. Ma il caso Juncker, sebbene estremo, non è isolato: anche i governanti di Olanda, Malta, Cipro e Irlanda dovrebbero essere spogliati almeno dei loro orologi, a ogni riunione del Consiglio Ue, a parzialissimo risarcimento di quello che con le loro norme ci sottraggono ogni anno. E non si tratta di uno di quei casi in cui la soluzione è tecnicamente difficile, né tanto meno impossibile: nell'aprile scorso il Tax Justice Network ha pubblicato un rapporto su questa vergogna europea con tre caldi suggerimenti: adottare regole comuni sulla base imponibile dei profitti delle imprese, che in alcuni Paesi rasentano lo zero; fissare un’aliquota minima effettiva pari ad almeno il 25%; obbligare le multinazionali a pubblicare ogni anno la rendicontazione Paese per Paese su impieghi, fatturati, profitti e tasse pagate in ogni singola giurisdizione. Se tutto questo non si fa, anzi manco è alle viste, è semplicemente perché non c'è la volontà politica. Perché troppo forti sono gli interessi delle corporation e delle lobby. E perché non di rado qualche potente della politica sfrutta in prima persona i vantaggi dei paradisi offshore, o più spesso permette che questi siano sfruttati da qualche suo generoso finanziatore.Ma tutta la questione resta su due colonnine delle pagine economiche anche perché - va detto - né i politici di sinistra né i media le hanno mai dato il giusto peso, considerandola quasi come un ineluttabile prezzo al capitalismo predatorio (con qualche eccezione, come Elly Schlein che ne fece una battaglia quando era europarlamentare; e, se posso, in Italia L'Espresso con le inchieste Panama Papers, LuxLeaks, e Fincen Files).Eppure, quale ingiustizia grida più vendetta di questa, dei ricchi che rubano ai poveri?Personalmente, ne farei il primo punto di ogni programma di governo e di ogni proposito elettorale, e ci costruirei attorno una campagna ancora più martellante e continua di quella che Salvini ha fatto contro i migranti (e almeno questa è fondata, non farlocca: questi sono giganteschi e pingui ladri di welfare, non affamati in fuga dalle carestie). Insomma cercherei di cambiare il senso comune mettendola come priorità, urgenza, necessità civile.Anche se mi rendo conto che non deve essere facile, visto che chi ha osato toccare questi fili è finito nei guai grossi, sotto processo o è semplicemente saltato per aria. Condividi: Ieri, all'ingresso  dell'aeroporto di Fiumicino, i poliziotti privati incaricati di controllare che i passeggeri entrassero con le mascherine non avevano le mascherine. O meglio, le avevano abbassate sotto il mento, che è come non averle.Non è una denuncia da caccia alle streghe: è il nostro contraddittorio vivere quotidiano, in questi angustiati tempi. È il confronto tra gride manzoniane - mascherine obbligatorie ovunque, multe fino a tremila euro! - e prassi molto più complesse, difficili, strette tra ideologismi del cazzo (la mascherina come privazione della nostra libertà, delirano i QAnon e gli Sgarbi vari) e, all'estremo opposto, pulsioni questurine che rischiano di trasformarci in poliziotti di strada come al tempo dei runner.Non è più utile, adesso, entrare nella disputa mascherina sì o no.L'esperienza di quasi nove mesi ha messo fine almeno a questa discussione. Le malattie di Johnson, Bolsonaro e Trump hanno ulteriormente aiutato a capire chi aveva ragione, sulle mascherine. Resta semmai un po' di incazzatura verso quei medici di chiara fama - o capi della Protezione civile - che ancora a marzo-aprile ne negavano o sottostimavano l'utilità sia sociale sia individuale. Amen.Ora abbiamo capito che più le si usa meglio è per tutti, non solo perché si rischia meno il virus ma anche perché si rischia meno il lockdown, con annessi devastanti danni sociali, psicologici, affettivi ed economici.Mi auguro che questo almeno sia chiaro, definitivo, non più oggetto di disputa, appunto.Quindi ciò che è utile capire ora è semmai come andare rapidamente verso un modello di universalizzazione dell'uso (corretto) delle mascherine - e della app Immuni. Perché, banalmente, se tutti tutti tutti usassimo sempre le une e scaricassimo l'altra, avremmo ottime possibilità di non passare il Natale da soli in casa, di non veder fallire la nostra attività, di non finire in Cassa integrazione, di non ritrovarci di nuovo i bar chiusi, con i ragazzini a casa a litigare con Zoom e così via.A me sembra che, in termini di efficace comunicazione, si sia fatto e si stia facendo davvero poco. Si sono preferite le minacce di multe mostruose e di nuove puntate di caccia al runner.È incredibile come nell'era della comunicazione questa sia stata usata pochissimo, a livello istituzionale, per indirizzare il senso comune nella direzione giusta.È incredibile come ancora nel 2020 si pensi che la minaccia di una multa pesante abbia efficacia maggiore della comunicazione ben fatta e diffusa, degli spot, delle campagne sui social, della divulgazione, dei testimonial, delle maratone televisive, e così via.Immuni, per esempio, è stata lanciata e subito dopo abbandonata, comunicativamente. Abbandonata anche alla stupidità virale di chi, non avendo neppure una vaga idea del suo funzionamento, vi vede un'intrusione dello Stato nella sua privacy, spesso dopo aver ceduto tutta la sua privacy in cambio di un videogiochino gratis sul cellulare.Su Immuni ci sarebbero dovute essere mille campagne e mille trasmissioni, di Immuni avremmo dovuto vedere in tivù i volti degli sviluppatori che ne spiegavano garanzie ed efficacia, su Immuni si sarebbero dovuti schierare pubblicamente politici di ogni parte e testimonial di ogni tipo che ne elencavano i vantaggi per tutti, per Immuni magari avremmo dovuto fare perfino campagne di stimolo legate a quel tipo di lotterie che adesso vengono proposte per i pagamenti digitali.Invece, nulla, o pochissimo. Con il paradosso finale: siccome Immuni è stata scaricata solo da sei milioni di persone, chi l'avversa festeggia strillando "avete visto, non funziona?", e vagli a spiegare che non funziona proprio perché non è stata abbastanza scaricata, non perché non funziona in sé.Anche sulle mascherine si sono viste più minacce che campagne, stimoli, testimonial, divulgazioni, spiegazioni. Abbiamo visto le urla di De Luca, ora si minaccia l'esercito e si brandiscono le mega multe. Preferirei vedere cinque puntate in prima serata con Alberto Angela che ci spiega il perché e il per come, per esempio. O una clip di Mahmoud. O uno spot di nonno Libero.Ma non lo dico per sciocco ribellismo antiautoritario: lo dico proprio per efficacia. Perché ne va dei prossimi otto-nove mesi - e anche molto dopo, come conseguenze economiche e sociali.Non so: secondo voi siamo ancora in tempo, a cambiarla, questa cosa? Siamo in tempo a capire che la comunicazione è più efficace delle gride manzoniane? Siamo in tempo a cambiare il senso comune che vede mascherine, gel e app come "privazioni della libertà", mentre sono l'unico modo certo per riconquistarla, la nostra libertà di vivere, abbracciarci, amare, commerciare, viaggiare e tutto il resto? ( e voi ve lo ricordate, vero quanto era bello abbracciarsi, sì?).Condividi: Più o meno, le percentuali di Ivan Scalfarotto in Puglia e di Tommaso Fattori in Toscana sono uguali, e ridicole entrambe.Scalfarotto è il sottosegretario agli Esteri, insomma un membro non da nulla del governo,  e a questo giro nella regione dov'è cresciuto era il candidato di Italia Viva, partito nato dalla scissione a destra del Pd, quella renziana; Fattori è invece  l'esponente più in vista della cosiddetta sinistra radicale in Toscana, un attivista dei beni comuni di lunga data e di grande, lodevole impegno.Sembra quindi esserci un destino comune, in queste due storie così diverse e parallele. E cioè che fuori dal Pd, al momento, non c'è nulla che viene votato a sinistra o al centrosinistra che sia.Il che è paradossale, s'intende. Quasi misterioso. Perché il Pd è un partito d'identità debole, incerta, a tratti proprio irrintracciabile. Un po' con il lavoro un po' con i padroni, un po' a sinistra e un po' al centro, più spesso barcollante nel nulla, con un segretario che sorride sempre ma non decide mai, che sembra quasi  lasciarsi trasportare dagli eventi -  prima il governo con M5s, poi il referendum - anziché timonarli, eppure tappo di sughero nei marosi della politica, sempre a galla nonostante un profilo che rasenta l'anonimato, il nascondimento, la sparizione. Ma alla fine, anche stasera si porta a casa un tre a tre, e potrebbe fare gesti beffardi a chi fino a 24 ore fa ne prevedeva il crollo e le dimissioni.Si possono fare diverse ipotesi sulle ragioni di questa "tenuta" whatever it takes del Pd - il partito mamma, il partito ombrello, il partito erede seppur lontano del Pci - a fronte dei fallimenti dei suoi piccoli vicini scissionisti.Personalmente ne ho una, forse naif ma l'unica a cui per il momento credo, cioè l'esistenza di una sinistra nel paese nonostante i suoi partiti, cioè nonostante i partiti di sinistra o di centro sinistra.Nel Paese vuole dire nelle coscienze, nell'associazionismo, nei comitati, nei sindacati, nei corpi sociali, nelle mille forme in cui oggi si manifesta l'impegno politico e sociale stando ben lontano dai partiti, eppure alla fine dovendone votare uno, di questi partiti.Ed è quasi inevitabile che a quel punto il partito/candidato scelto sia quello più grosso, quello che può fare muro contro una destra che non è nemmeno destra, ma un misto di sovranismo, antiscientismo, egoismo e fascismo di pancia.E va bene, per carità, va bene perfino il grigissimo Giani e il suo codazzo di renziani orfani e massoni famelici, va bene tutto, ma sempre lì è il problema, e non da oggi ma almeno dal 1994, la sinistra che quando vince, vince solo per battere la destra, non per virtù proprie, non per visioni proprie - ed è questo appunto il problema da più di vent'anni, e vorrei magari vincere un giorno un'elezione per qualcosa e non contro qualcuno, Pd o non Pd, scissioni o non scissioni.Condividi: Ma magari fossero stati fascisti, i duemila poracci scarsi che erano in piazza oggi a Roma. Fossero stati fascisti sarebbe molto più facile inquadrarli, capirli: avrebbero un'ideologia, una visione sistematica del mondo, dei riferimenti storici.Invece quell'affollamento quantitativamente scarso e mentalmente perduto è segno di un'altra cosa, la stessa che vediamo ogni tanto sorgere all'improvviso e altrettanto rapidamente sparire, l'opposizione generica e rabbiosa per vuoto interiore, molecolarizzata e disperata per assenza non dico di ideologia ma almeno di uno straccio di pensiero per qualcosa.In sostanza, un segno tra i tanti dell'esplosione sociale e culturale, e delle sue conseguenti esclusioni.Che si manifesta in mille modi. Dalle sette religiose (in grande spolvero) alle eruzioni provvisorie di strada - Pappalardo, forconi, no vax, gilet gialli, no mask, quello che vi pare.Negli Stati Uniti, che hanno un tessuto sociale semi-inesistente da sempre - ogni tanto qualcuno di questi poveracci, da decenni, spara nei licei. Altri girano nudi con il cartello Jesus is Coming. Altri si rinchiudono in un qualche territorio sfigato armati fino ai denti poi di solito finisce in strage. Ora va di moda QAnon, finché c'è il Covid poi boh.Facciamo fatica a capire come una società così post ideologica e così sfilacciata produca queste effimere e tristi escrezioni.Le quali, come diceva oggi il loro striscione, hanno disperatamente bisogno di sentirsi "il popolo", ma proprio tutto, il popolo. Proprio perché il popolo non esiste più, è esploso, è atomizzato, e loro ne sono solo uno dei tanti atomi esplosi nel nulla. "Noi siamo il popolo", che è come dire Bob Marley è vivo. Bugie che nascondono desideri impossibili.Il raduno di oggi fa rabbrividire, ha detto il ministro Speranza. Ha ragione, nei contenuti, ci mancherebbe. Ma a me fa rabbrividire ancora di più una società talmente molecolarizzata e scucita dal produrre ciclicamente cose così.Condividi: È antica tradizione, nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, che quando all'improvviso arriva una montagna di soldi (tipo: si scopre un giacimento di gas naturale o di petrolio) iniziano anche le guerre per bande, che spesso diventano vere e proprie guerre civili, con tanto di milizie armate, a volte con scuse etniche o alibi religiosi, ma sempre di accaparrarsi il malloppo si tratta.Talvolta queste guerre civili iniziano pure prima che lo sfruttamento del giacimento abbia inizio, insomma quando ancora i soldi non ci sono: intanto ci si ammazza poi chi piglia, piglia.In Italia la guerra civile, per fortuna, non è alle porte, e tuttavia la guerra di bande per gestire le vagonate di milioni in arrivo dall'Europa mi pare già in corso.La lotta politica quindi ha uno sguardo breve, brevissimo: i prossimi due o tre anni al massimo, quelli residui della legislatura in corso, che sono anche quelli in cui ci si spartirà il malloppo.Né al centro, né a sinistra, né nel nel M5S, e tanto meno nei poteri economici e in quelli editoriali si guarda più in là, al 2023, quando Salvini e Meloni puntano a prendersi tutto.Si pensa solo all'immediato, a prendersi la fetta più grossa della torta che c'è.Non una grande visione, diciamo, e neppure una grande strategia. Ma tant'è.Di qui tutto quello che abbiamo sotto gli occhi adesso. Ad esempio con la campagna nemmeno più tanto sotterranea per sostituire Conte con Draghi. Ma anche con le penose lotte interne tra correnti (o bande, appunto?) nei partiti della maggioranza che sostiene Conte (o dice di sostenerlo).Non so, sicuramente sono naif io, ma in questa festa dionisiaca e violenta dei milioni europei vedo già chi ci rimette. Cioè quella parte di Paese, circa metà, che non amerebbe molto trovarsi Meloni e Salvini onnipotenti tra due anni e mezzo. E poi sul lungo ci rimetterebbero anche gli altri, quelli oggi accecati dal sovranismo, quando vedranno i danni che l'ultradestra farà all'Italia.Del resto, proprio come nei paesi in via di sviluppo quando si trova il petrolio, a rimetterci è sempre la popolazione civile, che alla guerra per bande non partecipa ma ne subisce poi le conseguenze.Condividi: Sono - mi perdonerete - affascinato dalla polemica su Armine Harutyunyan, la modella scelta da Gucci con un colpo di genio per far parlare del suo marchio, e ci casco volentieri anch'io tanto chissenefrega, Gucci mica ha bisogno di me per farsi notare - e comunque mai comprato qualcosa di Gucci, io mi servo all'Oviesse o al mercatino di via Sannio, e mi trovo benissimo.Ne sono affascinato (dalla polemica, dico) perché riapre la questione antichissima della "bellezza femminile", della sua oggettività o quanto meno trascendenza, in verità questione mai risolta dai tempi degli antichi greci e che per fortuna non sarà chiusa mai, all'infinito, auspicabilmente accanto a quella della bellezza maschile su cui tuttavia sono meno ferrato e anche di questo spero mi perdonerete, tanto per fortuna su questo c'è la Beatrice Dondi con i suoi "giovedì gnocchi" che se ne occupa ogni settimana su Facebook.Allora iniziamo col dire che nel campo della figaggine femminile - così come sul pallone, sull'astrologia, sull'economia, sul giornalismo e su qualsiasi altra cosa che non sia scienza - ognuno può dire il cazzo che vuole con pari legittimità. Voglio dire: qui Burioni si suiciderebbe, perché non valgono studi né competenze. Siamo nell'uno vale uno allo stato brado.Il mio uno vale uno dice che la bellezza femminile si chiama quid.Quid: una roba che ti affascina, a volte ti fa proprio uscire di testa - e manco sai perché.Un modo di strizzare gli occhi. Una battuta giusta al momento giusto. Il movimento di una caviglia. Un odore. Un tono di voce. Un modo di ridere o di sorridere. Una scelta lessicale. Uno scuotimento di capo. Un inarcamento di sopracciglia. Una mano nei capelli. Una frase perfetta.E così via all'infinito: ognuno scelga il suo quid. Che poi i quid non si scelgono, sono loro che scelgono te - e lì sei già fottuto. Ora, non so cosa bene c'entri tutto questo con Armine Harutyunyan o come diavolo si chiama. Trattandosi di modella, trasmette solo la sua immagine pittorica, o quasi solo quella. Niente strizzamento degli occhi o inarcamento di sopracciglia, tanto meno odore o tono di voce o frase perfetta. Magari è intelligente come la D'Urso o strilla come la Santanché.Quindi boh.Però a occhio mi pare (con rispetto) un volto più interessante di quello di Ilary Blasi o Manuela Arcuri. Sempre con rispetto.Ma mica faccio testo. Uno vale uno, ripeto. A me da giovane piaceva da pazzi Carmen Maura. A qualcuno di voi magari facevano impazzire Pamela Prati o Sabrina Salerno (problemi neonatali con la mamma eh?).In ogni caso a me questa Armine Harutyunyan non mi dispiace, sarà che per Libero «è la modella più brutta del mondo» - e manco cito la vera o apocrifa fase di Briatore sulle "cesse".Forse è solo perché mi ricorda vagamente Frida Kahlo, che scusate ma io se fossimo stati contemporanei, a occhio, mi ci sarei volentieri fidanzato (poi presumibilmente mi avrebbe accannato e ci avrei pure frignato, ma questo è un altro discorso dai).Condividi: Si erano talmente affievoliti, slabbrati e confusi, i confini tra destra e sinistra, che 26 anni fa un cantautore già solidamente di sinistra ne scrisse la famosa parodia, ironica e feroce: i collant son quasi sempre di sinistra, il reggicalze è più che mai di destra, la pisciata in compagnia è di sinistra mentre il cesso è sempre in fondo a destra.Si era a metà degli anni 90, appunto. Essere di sinistra sembrava non voler dire più niente, o meglio da noi voleva dire al massimo opporsi a Berlusconi (senza avere un modello in positivo di società e di valori: opporsi a lui e basta), il capo del maggior partito di sinistra in Italia era D'Alema, per Fukuyama con la caduta del Muro era finita la storia, in America c'era Clinton, in Inghilterra scaldava i motori Blair, insomma la ex sinistra si divideva tra la resa alla destra economica, quindi la sua emulazione, e l'arroccamento nel passato perduto - da noi, Rifondazione, e poi la cosiddetta sinistra radicale mai più uscita dal suo guscio.È curioso: nello stesso anno in cui Gaber incideva la sua canzone, Norberto Bobbio scriveva il suo saggio sullo stesso tema, Destra e sinistra. Segno che c'era decisamente una crisi di identità, di dubbio enorme su categorie che prima si davano per scontate, quasi ovvie. Il libro di Bobbio resta una pietra miliare, 26 anni dopo, anche se rileggendolo adesso un po' si sente la tracimazione nelle sue righe dell'attualità politica stretta di quel tempo, che oggi pare lontanissima. In ogni caso, Bobbio espose perfettamente il diverso atteggiamento che le due parti, il popolo di destra e il popolo di sinistra, sistematicamente mostrano nei confronti dell’idea di eguaglianza e attorno a questa idea ripose la diade destra-sinistra. Insomma, "rimise la chiesa al centro del villaggio", per dirla con la famosa metafora di un allenatore di calcio.Anche l'attualità politica di questo tempo però può forse indurci a qualche considerazione - suppletiva e complementare, non alternativa - sul concetto di destra e sinistra. Il nostro tempo fatto di Covid, di mascherine, di Trump, di Briatore, di Salvini, di questione migranti, ma anche, più in piccolo, di giornali fasciotrash come Libero e la Verità, che ci urlano ogni giorno che cos'è la destra.Spesso si dice che questi politici e questi giornali "parlano alla pancia del Paese".Nel citare questa frase fatta, "la pancia del Paese" , di solito tuttavia non si va oltre. Che cos'è la pancia del Paese? La pancia - politicamente parlando, e mi scusino per la banalizzazione gli psicanalisti - è semplicemente un insieme di spinte pulsionali, "naturalmente" egoistiche, aggressive, arcaiche e istintuali che ognuno di noi ha il bisogno di soddisfare. Una sorta di "Es" politico - e di nuovo mi scusino gli psicanalisti per la trasposizione in altro campo di termini assai più complessi se riferiti alla loro materia.Quando un lettore medio di Libero sfoglia i titoli del suo giornale, prova lo stesso appagamento che sentirebbe se finalmente potesse dare una manata sul sedere alla barista lo attizza, o mandare a quel paese il vigile che non lo fa parcheggiare sotto casa, o spedire a pedate nel suo Paese l'immigrato che ciondola nel suo quartiere.Prova soddisfazione. Si libera di qualsiasi "dover essere" per lasciar sfogare, almeno a livello immaginativo, la sua istintualità.By the way, penso che abbiamo tutti dentro, nascosto da qualche parte, un lettore di Libero. No, dico davvero. La pasta di ciascuno di noi è fatta anche di pancia, pure di quella peggiore. La questione è se la governiamo o no. Se la mettiamo in minoranza o no, nel nostro Forum interiore.Perché, non c'è una parte di noi che si è rotta totalmente le palle di mettere la mascherina e vorrebbe liberarsene? Non c'è una parte di noi che ricorda con nostalgia quando non si doveva fare la differenziata? Non c'è una parte di noi che vedendo spacciatori maghrebini al parco non abbia sentito sorgere in sé pensieri che non condivide, per dirla col genio di Altan? Non c'è una parte nascosta anche dentro il maschio più democratico e di sinistra che percepisce questa storia del MeToo come una "perdita di posizione"? Dopodiché, per fortuna, non siamo solo pancia e abbiamo libero arbitrio. Essere di destra è molto facile, basta lasciarsi andare alla pancia, al chissenefrega degli altri, alla soddisfazione più bassa del proprio io peggiore. Essere di sinistra è un lavoro, a volte pure faticoso. Un lavoro di consapevolezza, un esercizio di pedagogia del proprio Forum interiore.Anche per questo, a volte, vedo persone della mia età, specialmente maschi, che a un certo punto della loro vita diventano cognitivamente di destra. Sono stufi di questo lavoro faticoso, "basta, lasciatemi sfogare, adesso mi faccio i cazzi miei", sembrano dire tra le righe. Non li condanno, me ne dispiaccio. Di solito non finiscono per votare a destra, non ce la fanno, ma non cambia molto.Altri invece sono così da sempre, per educazione (o mala educazione, direi), per abitudine, per tracotanza, per convenienza, per rabbia, per pigrizia. Li abbiamo visti ballare sfrontatamente al Billionaire, dopo aver scritto sui moduli falsi numeri di cellulare. Li vediamo entrare nei negozi orgogliosamente senza mascherina, li vediamo al parchetto maledire gli zingari, li vediamo buttare la plastica con la carta, li vediamo sgasare col Suv o semplicemente lasciare la macchina in seconda fila a Roma. Li vediamo, sono fra noi ma come si detto, rischiano sempre un po' di essere anche dentro di noi. Forse la battaglia tra destra e sinistra, molto prima che sulla scheda elettorale, oggi si gioca lì, sulla diade istinto e consapevolezza, pancia cervello, estensione infinita del proprio ego e coscienza che invece viviamo tutti insieme.Condividi: È divertente l'accusa mossa oggi da Carlo Bonomi: chi parla delle aziende che hanno preso la Cassa integrazione senza averne il diritto, «scredita l'industria». È divertente perché riprende pari pari la stessa formula che, ad esempio, in Italia sentiamo dal 1993: chi parla di tangenti ai partiti, scredita la politica, fa «antipolitica».Del resto, chi aveva qualcosa da dire sul Pcus in Russia ai tempi di Breznev era «antisovietico»; chi non accettava il fascismo da noi nel Ventennio era «antipatriottico»; più di recente, chi faceva notare le leggi ad personam di Berlusconi era «antitaliano».Sempre, sempre, sempre lo stesso inganno, con poca fantasia, quasi pavloviano: se dissenti da chi sta in alto, sei contro chi sta in basso.Ho passato anni a scrivere che «antipolitici» erano i politici ladri, non chi li accusava, perché creavano un voragine tra cittadini e Palazzo; e che «antieuropei» erano i poteri che con le loro scelte di austerity e di esclusione sociale avrebbero fatto disamorare dell'Europa anche Mazzini e Spinelli.Adesso siamo all'industria.Che è un bene prezioso, santo cielo, quanto la democrazia. Perché emancipa dalla miseria, nei casi migliori consente benessere, in quelli ancora migliori dà perfino un senso fattivo, creativo e sociale alle ore del lavoro (e l'immagine qui sopra è una vecchia copertina Einaudi de "La chiave a stella"). Ma fa male all'industria chi la vede nella sua funzione civile e collettiva, quindi come bene prezioso di un Paese, o chi la vede solo come fonte di arricchimento individuale dei suoi azionisti? Fa male all'industria chi vuole preservare dalla pandemia la società in cui è calata (e da cui quindi trae sia la produzione sia il consumo) o chi ha lo sguardo tanto breve da voler tenere tutto aperto anche in piena esplosione del virus, ignorandone le conseguenze sul lungo? Fa male all'industria chi vede la necessità inderogabile e urgente di una sua rapida e radicale riconversione ecologica-circolare o chi si attacca al passato dei combustibili fossili, della plastica, del consumo infinito di risorse finite? Fa male all'industria chi vede l'evasione-monstre italiana non solo come ferita alla società ma anche come concorrenza sleale agli imprenditori onesti o chi questa ferita e questa concorrenza sleale derubrica a «dubbio» (come fa oggi Bonomi), arroccandosi nel riduzionismo se non nel negazionismo?Io amo l'industria. E lui?Condividi: È stato attorno al ventesimo minuto, mi pare, che mi sono accorto dei rumori di fondo finti messi dalla regia di Sky per farci sembrare normale la partita. Boati di massa che si alzavano pure di volume durante le azioni più pericolose. E quando la telecamera era solo sui giocatori, con gli spalti esclusi dalle riprese, sembrava proprio che tutto fosse come prima, insomma che ci fosse il pubblico allo stadio. E niente urla individuali e spettrali lanciate a fare l'eco nel deserto, nel silenzio, nel vuoto, "vai vai!, sali sali!, chudi!", e così via.Ha fatto bene Sky a ingannarci con la colonna sonora di un mondo normale, della normalità di prima intendo?Probabilmente sì, dal punto di vista spettacolare era di buon effetto. Confortante, direi. O più che altro, illusionista.Già, perché con la sua truffa sonora Sky ha interpretato benissimo lo spirito di questo breve tempo, cioè a sei mesi dai primi morti di Covid: inganniamoci, inganniamoci tutti. Neghiamo la realtà, che non ci piace un cazzo, trucchiamola, e illudiamoci che non sia com'è. Diciamoci che non è mai successo niente, che non ci sono state le bare di Bergamo, la paura fottuta, le decine di migliaia di morti, il lockdown che ci ha fatto uscire pazzi, i lavori perduti e le povertà trovate, soprattutto facciamo finta che dopo le vacanze per miracolo in città non ci sia più niente di cui aver timore, né le esplosioni pandemiche né quelle sociali, niente, è tutto normale, non senti il boato dello stadio in tivù?È lo spirito farlocco di questa fine estate quello che è andato in onda ieri sera, durante la partita. Lo spirito della negazione del reale e quindi della sua cosmesi estrema, dell'autoraggiro consolatorio, del far finta che, del non svegliatemi per carità, anzi fatemi buttare via questi bavagli del cazzo che non sono un infermiere – e in autunno voglio risentire i boati della mia curva, non i numeri snocciolati da Borrelli alle 18.Siamo traumatizzati, non vogliamo la verità.Condividi:

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